Ogni tanto pubblico uno dei miei racconti, quelli più letterari, che non parlano di vita vissuta, ma narrano una storia. Questo è stato scritto per una rivista per ragazzi.
Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
- Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai
come si fatica! –
Andava a portar piante, rastrellare foglie e tagliare erba con
il suo potente tagliaerba.
Quel girono doveva occuparsi niente meno del giardino dei
terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della
collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da
pensare a degli orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da
una muraglia gigantesca dietro la quale chissà cosa mai si nascondeva.
Arrivati davanti alla villa, il cancello si era aperto rivelando cosa stava dietro agli alti muri di cinta. Il giardino dei Lorchitruci era diverso da come me lo ero
aspettato, era grande e sul davanti c’erano delle piccole fontane che
gorgogliavano, tante aiuole fiorite e molti alberi frondosi. Nulla di mostruoso, niente piante carnivore giganti, nessun antro umido e inospitale, solo fiori, sole e erba. Tanta erba.
Avevo appena cominciato a strappare le erbacce quando dalla casa
uscì un ragazzino. Da lontano mi sembrò che fosse più grande di me, ma quando
si avvicinò mi accorsi che aveva più o meno la mia età. Si piazzò a gambe
larghe sopra di me e iniziò a fissarmi, tirai su lo sguardo e vidi che aveva
gli occhi di un colore insolito, tra il giallo e il verde quasi come quelli di Tommy, il mio gatto. Tommy era scomparso
l’anno prima durante una nevicata e insieme a mio padre lo avevo cercato a
lungo, inutilmente. Nella tormenta lo avevo chiamato, cercato e, alla fine pianto, mi mancava molto Tommy. Lo avevo amato a tal punto da aver desiderato che si
trasformasse in un bambino con il quale giocare. Senza di lui soffrivo. Alla
fine, rassegnato alla sua scomparsa, mi ero consolato con un cane che avevo
chiamato Carlito. Carlito era più ubbidiente, ma meno divertente.
Il ragazzino continuava a guardarmi e quando lo fissai anch’io
strizzò gli occhi gialli ed emise un suono dalla bocca, come un sospiro rauco,
poi si girò e scappò agile tra le aiuole. Chiesi a mio padre chi fosse.
- Uno che i Lorchitruci hanno trovato l'anno scorso per strada, era sporco e
affamato e infreddolito - tagliò corto mio padre. Era un uomo di poche parole mentre lavorava, non amava sprecare energie.
Continuai a strappare le erbacce, la giornata era calda e il
cielo era limpido. Sentivo il sole scaldare i miei capelli neri e dopo un po’
avevo la bocca impastata dalla sete. Lo dissi a mio padre che stava vangando un
tratto di giardino dove avrebbe piantato delle erbe aromatiche.
- Vai dalla cuoca. –
Io rimasi lì a guardarlo in attesa di spiegazioni, ma lui
continuava a vangare.
- Papà dove trovo la cuoca? - chiesi
Mio padre sembrò risvegliarsi da un sogno, scosse la testa e
rispose
- In cucina. Sul retro della casa, prima porta a sinistra. – indicò con la mano libera, poi riprese a lavorare.
(1- continua il prossimo mercoledì)
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