martedì 18 giugno 2013

NEW YORK STATE OF MIND - UN'IDEA DI CUCINA

La vista quando si è in coda per entrare al ristorante del MOMA
Chiudo la trilogia newyorchese, neanche fossi Paul Auster, con questo racconto/saggio dedicato alla cucina di New York. Già l'avventura di Prune dovrebbe avervi solleticato la curiosità e insegnato che se non si prenota a New York è difficile trovare posto al ristorante, soprattutto il fine settimana e in quelli più famosi. Però, non prenotare a volte offre l'occasione per vivere nuove avventure in una città sempre pronta ad offrire uno spunto avventuroso. Come è capitato a noi quella sera di mancata prenotazione da Prune. Prima o poi ci sarà il raccontino d'ordinanza, ma adesso parliamo di cose serie.

New York è un'avventura di per sé, anche dal punto di vista culinario. E' una città dove bisogna arrivare con la mente aperta, dimenticare da dove si proviene e capire dove si è. Non è facile per noi italiani, troppo spesso portati a giudicare le cucine del resto del mondo con una sufficienza che assomiglia molto a quella dei francesi. In certi posti ho mangiato malissimo, ma molto rararemente, veramente molto raramente. La maggior parte delle volte ho mangiato in una variabile tra il bene e il benissimo. Forse la mia curiosità mi spinge a provare di tutto e tutte le cucine, però ammetto a New York ho mangiato cinese bene come in Cina, italiano quasi fossi a Milano, francese come se fossi in un Bistrot a Parigi, ma soprattutto ho mangiato americano. Perché la culinaria americana esiste ed è eccellente. Dai grandi classici, un filo troppo potenti per le nostre papille gustative, ammetto, alla nuova cucina creativa americana, quella che fanno, ebbene sì, ancora una volta, Prune oppurre Perilla, attraversando la galassia dei chef stellati come Hubert Keller del Per Se o Daniel Bolud di Daniel, passando per l'originalità agreste (solo prodotti da agricoltura sostenibile) di Rouge Tomate e la solida tradizione ittica di Aquagrill. Per parlare solo della cucina ad alto livello, esiste anche un mondo di cucina deliziosa e a basso costo. La incontreremo più avanti. 

A New York sono rappresentate tutte le razze e tutte le cucine, forse è più facile trovare burro fatto con il latte di Yak (dal colore rosa e il sapore pungente) a Manhattan che in un paesino sperso tra le montagne di Lhasa. Paradosso a parte, per quanto riguarda il cibo, e forse qualsiasi altra cosa, si trova tutto e il contrario di tutto. Si può mangiare in maniera sublime o atroce, dipende. Si possono gustare piatti leggerissimi e dietetici oppure avventurarsi in mondi grondanti di grassi e colesterolo. C'è libertà di scelta. Chi torna da New York dicendo di aver mangiato male, non ha saputo scegliere. Punto, e basta.
Si possono stendere fiumi d'inchiostro sulla cucina di New York non è facile parlare di questa città in continuo movimento, anche dal punto di vista culinario. Ogni quartiere, ogni zona della città ha la sua sfumatura di colore. Se si tiene conto che gli immigrati di varie etnie, religioni e provenienze si sono spartirti, volontariamente o involontariamente, diverse aree della città. Alcune zone portano i nomi dei vecchi e nuovi abitanti, troviamo Little Italy dove, per altro, non ci sono più italiani da un bel po'; Chianatown che si è sempre più espansa verso quella che era Little Italy; Jamaica, chissà chi viveva e vive in questo quartiere attraverso il quale si passa arrivando in città dall'aeroporto; nel mucchio troviamo una Little Poland (Polonia da esportazione) e una Little Odessa, e questi sono solo alcuni dei nomi di quartieri che hanno preso il nome dagli abitanti che hanno scelto di viverci. Altri quartieri e zone non si identificano con la nazione o nazionalità, ma più semplicemente si sa che da quelle parti si poteva trovare un'immigrazione prevalentemente ebraica, come ad esempio nel Lower East Side, dove c'erano le sinagoghe e i negozi che vendevano le delizie della cucina ebraica come il Pastrami. Questo per quanto riguarda Manhattan. Ci sono anche Brooklyn o Queens, perché New York City (questa il nome completo della città) non è solo Manhattan, come molti pensano, ma diversi distretti dove gli immigrati si sono divisi e mescolati allo stesso tempo. Quartieri dove bianchi e neri convivono, dove religioni diverse si intersecano eppure rimangono perfettamente distinti e separati, come acqua e olio. A New York si mangia il Soul Food, quella cucina così tipica degli afroamericani del sud, e si mangia prevalentemente ad Harlem dove la cultura afroamericana si è diffusa in mille rivoli di differenze, ma per esempio anche a Bedford Stuyvesand che per lungo tempo è stato quartiere a prevalenza afroamericana, e che pure è stato anche quartiere italiano lontano da Little Italy in una singolare mescolanza. Si mangia latino a Spanish Harlem, o si spizzica cibo russo a Brighton Beach, vicino Coney Island, sulla punta estrema di Brooklyn. Potrei continuare a fare l'elenco delle cucine e delle zone dove possiamo gustarle al loro meglio, ma sarebbe uno sterile elenco di zone e di ristoranti. Le varie cucine importate dagli immigrati sono andate via via modificandosi, pur rimanendo fedeli all'originale, andando a formare un gusto personale e molto locale, che a volte ricorda, ma non replica i sapori originali. Qui sta l'originalità della cucina newyorchese, e forse anche il suo limite.

New York è anche la patria del ristorante alla moda, quello che apre, fa il bello, si pavoneggia coi suoi ospiti famosi, le serate a numero chiuso, la lunga attesa per prenotare un tavolo, e scompare nello spazio una manciata di anni. Di ristoranti così ne esistono e sono esistiti tantissimi, si perde il conto, e ci si dimentica del loro nome. Semplicemente ci si va, ci si fa vedere per dimostrare di avere la possibilità di prenotare il tavolo, di avere accesso in un posto dove tutti vogliono andare e dove pochi riescono, senza neanche quasi guardare quello che si ha nel piatto. E poi si dimenticano, o magari restano un piacevole ricordo e niente più. Al contrario esistono posti che durano da decenni senza che la loro fama si sia appannata. Tra i miei preferiti l'Oyster Bar, alla Grand Central Station, con la sua singolare acustica e le sue ostriche sopraffine. In altri si incontra il potere, ma anche la gente comune, che ne apprezza l'ambientazione, l'atmosfera elegante fino all'estremo. Sono i posti eleganti dove si mangia a fasi alterne, ma mai veramente male, dove per entrare ci vuole la cravatta e una petite robe noire corredata da perle. Altri sono popolari, collocati magari all'angolo della strada e la cui fondazione risale alla notte dei tempi, che per New York magari sono gli anni quaranta/cinquanta. Tra quelli eleganti posso citare  il "21 - Twenty-One", giacca obbligatoria, pieno di ricordi di uomini famosi e donne eleganti, aperto, per gli standard di New York, la città che vive veloce, da sempre. E' un posto dove bisogna andare almeno una volta nella vita per capire che cos'è l'Upper East Side, un mondo a parte, con le sue signore eleganti, i suoi uomini incravattati, che girano per le salette private rivestite di legni pregiati, luci soffuse, voci basse, e  l'odore dei soldi e del potere che aleggia tra le cristallerie e le argenterie che apparecchiano i tavoli. Meglio andarci a mezzogiorno, il menù a prezzo fisso è conveniente se paragonato alle cifre che si possono spendere alla sera. Gli altri, quelli dell'angolo di strada, quelli pop, sono i Diners (fantastici Grilled Cheese), le Delicatessen (chiamate confidenzialmente Deli), gli Slice of Pizza (Ammmore mio!), e i carretti. Quei carretti che si vedono nei film dai quali i protagonisti comprano un Hot Dog "senza niente" o "con tutto". Dove per niente e tutto si intende cipolla, sottaceti tritati, ketchup, mayonese e condimenti preferiti. Quegli stessi carretti che vendono anche deliziose zuppe, fantastici noodles saltati, riso tirato con le verdure, che, ecco lo ammetto, non sempre sono perfetti, un po' troppo sovente la loro cucina è grassa e pesantuccia, ma bisogna provare finché non si trova quello che ci piace, anzi che fa per noi. Poi, non dimentichiamo che il Cheese Cake è stato inventato a New York, un imprecisato giorno di molti anni fa,  in una pasticceria che si chiama Lindy's e che oggi sforna Cheesecake quotidianamente. Chissà se usa la stessa ricetta di una volta, quella che io ho ricevuto in regalo dalla mia insegnante di pasticceria alla scuola di cucina, almeno lei sostiene che si a quella originale. Voglio crederle. Stavo dimenticando i Deli, i miei amatissimi Deli, dove impera la cucina ebraica coi suoi Pastrami Sandwich giganti (che nostalgia!), che ti sfamano per un giorno intero. Cos'è il Pastrami? Manzo cosparso di spezie, fatto marinare e poi cotto al vapore o bollito, tagliato fine, e servito con senape e cetrioli, in versione piatto o panino. Sublime e molto newyorchese. Il posto più famoso dove mangiarlo è Katz's Deli, nel Lower East Side ovviamente, il luogo dove è stata girata la scena dell'orgasmo di "Harry ti presento Sally", sì proprio quella. Se volete la prossima volta che andate a New York potete provare ad imitare Meg Ryan davanti ad un Pastrami Sandwich. Se avete il coraggio.
(3 - fine)

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