martedì 12 febbraio 2013

CENE FUMOSE A GERUSALEMME

A casa abbiamo sempre pensato che fosse vecchissima, ma all'epoca i miei genitori erano appena trentenni e io avevo giusto imparato a non farmela nel pannolino. Sì, abbiamo sempre parlato di lei come di un'adorabile vecchina. Forse aveva cinquant'anni, forse qualcuno in più. La prima volta che è arrivata in casa nostra ha fatto due richieste: avere una radio e poter fumare. Mia madre non aveva avuto niente in contrario. Le aveva comprato una radio, che è rimasta in giro per casa fino al mio ventottesimo compleanno, giorno in cui è caduta rompendosi in mille pezzi. Non fosse caduta è probabile che sarebbe stata ancora lì, sullo scaffale della cucina di mia madre. Poi, le ha regalato una stecca di Kent, le sigarette che fumava anche lei. Così corredata ha preparato la sua prima cena a casa nostra: radio a tutto volume e sigaretta che bruciava sul piano di marmo della cucina. In verità credo che fumasse pochissimo, erano più le volte che la sigaretta bruciava indisturbata appoggiata da qualche parte che quelle in cui l'aveva in bocca. A tre anni conoscevo tutte le canzoni di Um Kalthoum a memoria. La sua voce profonda eppure chiara è stato il sottofondo della mia infanzia. Cantavo insieme alla radio e a Maleke, la fumatrice. Cantavamo a squarciagola e mio padre, che non è mai stato grande amante della musica araba, sosteneva che tutte e tre in coro, Um, Maleke e io, sembravamo l'ode al dito schiacciato.  Um Kalthoum, attrice e cantate egiaziana, era l'idolo di Maleke, ma lei amava tutta la musica, le piaceva anche ascoltare le filastrocche infantili che le inanellavo tornando dall'asilo.
Maleke era araba, ma cristiana. Cattolica fino al midollo, non poteva perdersi la messa. Quindi la domenica sgattaiolava fuori per andare alla prima funzione, prestissimo alla mattina, perché "non sia mai che la mia "Habibi" (tesoro) non mi trovi al risveglio". Mentre tornava comprava la mia merenda preferita, Cahek u Zahatar* (per la storia cercare nel blog: "Cibo per Menti Aperte") e poi mi svegliava. Tagliava a metà il Cahek (ciambellina al sesamo) e preparava uova strapazzate con Summac**. La mia colazione, a mio fratello dava un biberon gigante mentre lo teneva a cavalcioni sul fianco e rigovernava la cucina. Io intingevo il pane dentro alle uova e la guardavo estasiata. L'altra metà del Cahek lo teneva per darmelo a merenda. Mio fratello e io amavamo Maleke, io di un amore assoluto e corrisposto, lui dell'amore delicato e nuovo, quello del neonato. Per noi era la nonna che non avevamo vicino, la nostra isola di divertimento. Odorava di olio fritto (friggere era il suo sport preferito), sigarette, e violette. Con un preavviso brevissimo riusciva a preparare una cena per quaranta persone, non che i miei avessero tanti amici, ma saperlo faceva sentire mia madre una padrona di casa migliore. Ascoltare Um, fumare e cucinare erano le sue grandi passioni. Ma, il suo diletto assoluto era cenare con me. Preparava una vera cena araba, quelle col riso o il cous cous, la carne, i dolci, il the alla menta, e i mezzes. Un paio di volte alla settimana, quando il miei erano fuori a cena, cominciava a lavorare dal pomeriggio, lasciando da parte le incombenze casalinghe, tranne le cure dovute a mio fratello. Finito di cucinare lo metteva a dormire e cominiciava il nostro rito. Preparava i piattini coi mezzes, certo non rispettava le quantità da cena formale, di solito dodici piattini, ma c'erano sempre quelle due o tre pietanzine belle ricche. Le più frequenti: hummus, tabule, dolma, falafel, kibe. Ovviamente quelle che piacevano a me. Metteva il riso su un grande piatto di rame, fumava ed era caldissimo, poi lo copriva con un altro piatto sempre di rame. La carne era pronta nel forno, un aggeggio, una sorta di catafalco antidiluviano che funzionava a gas o forse a fiato di Maleke, visto quanto diventava rossa quando lo usava. Lei lo adorava e lo usava con sommo piacere. A volte preparava lo stufato che stava sul fuoco della cucina economica fino all'ultimo minuto.  Poi, andava in sala, prendeva uno dei tappeti di lana annodata e lo portava nel disimpegno di fronte alla sua camera da letto. Prendeva i cuscini e li disponeva come se fossero comode poltrone, appoggiati a terra e al muro. Portava la radio che disponeva al lato dei suoi cuscini, regolava il volume, di solito molto alto, sulla stazione dove sapeva sarebbe cominciato il programma musicale. Finito questo mi faceva accomodare, senza scarpe, le gambe incrociate, la schiena appoggiata sul cuscino, e arrivava coi mezzes. Versava il the nei bicchieri di vetro, il mio lo riempiva a metà e lo colmava con acqua fredda. Non ho mai amato le bevande troppo calde e continuo a detestarle. Maleke allora cominciava a conversare. Beveva una sorsata di the bollente,  tirava dalla sigaretta una lunga, voluttuosa boccata, mangiava un dolma e iniziava le sue storie. Mi raccontava di quando lavorava al consolato francese, quando doveva preparare l'Anatra Ripiena e il Fagiano al Foie Gras. Per me era tutto arabo, nel senso che capivo perfettamente la lingua, ma quei cibi mi erano sconosciuti e mi parevano molto eleganti ed esotici. Tirava una boccata di sigaretta, prendeva un po' di pane, che aveva preparato lei, lo intigeva dentro all'hummus, e me lo passava. Mi raccontava di quando era caduta dal cammello e tutti avevano riso. Beveva un po' di the e mi esortava a fare lo stesso. Io, al massimo del piacere, sbocconcellavo il falafel, addentavo il kibe, mi godevo l'hummus, tutto con le mani, deliziata e felice. Poi Maleke si alzava, toglieva la copertura al riso o cous cous, versava sopra la carne, o la toglieva dagli spiedi, e me la portava. Mangiavamo direttamente dal piatto di rame, come usa in Medio Oriente, con le mani. Lei mi ha insegnato il trucco per mangiare senza perdere un granello di riso, e tenere la mano ragionevolmente pulita. Bisogno tenere le dita tutte unite, escluso il pollice, poi bisogna stringerle e formare un cucchiaio, che deve restare così per tutto il tempo del boccone. Con delicatezza bisogna portare il cucchiaio naturale in un punto dove ci sia la carne che il riso, intingerlo stringendo la carne col police e cercando di afferrare la giusta quantità di riso. Si portano alla bocca le dita avendo cura di tenere il dorso della mano verso il basso e con il pollice si spinge il cibo in bocca. Più difficile scriverlo che farlo, ne risulta un movimento veloce ed elegante. Si prosegue fino ad esaurimento del cibo. Quando si vedeva il rame tra i chicchi di riso Maleke era soddisfatta, avevamo mangiato. Allora portava delle eleganti ciotole colme di acqua tiepida dove galleggiava una fetta di limone. Mi faceva lavare le mani con cura. Le nostre cene finivano, invariabilmente, con i dolci,  i miei proferiti, ovviamente. Si variava tra il budino di vaniglia con le albicocche (M'llebeye), i Lukum, o i Karabij (pasta frolla ripiena di pistacchi e datteri). Restavamo a parlare mentre Maleke sorseggiava il caffé e poi, rovesciata la tazzina, si auto divinava il futuro leggendo i fondi. Dopo mi portava a letto, non senza avermi fatto lavare i denti e dire una preghiera. Mentre mi rimboccava le coperte diceva "Haddini Boosa, Habibi" e io la baciavo, come lei mi aveva chiesto, e l'avrei baciata mille e mille volte. Haddini Boosa, Maleke Habibi, ovuque tu sia.

P.S. Mi perdoneranno le persone la cui prima lingua è l'arabo, i miei errori sono terribili, lo so, ma non pratico la vostra lingua da molti molti anni e ho dimenticato tutto, come si parla e come si traslittera.

P.P.S Per coloro i quali fossero preoccupati della mia salute, visto che Maleke fumava come un turco nervoso, non vi preoccupate, sono cresciuta molto bene, i miei polmoni sono sanissimi e corro parecchi chilometri alla settimana. Tra l'altro a quei tempi non si parlava di fumo passivo e non se ne conoscevano le nefaste conseguenze.

*Zahatar: composto di spezie, sesamo ed erbe.
**Summac: una bacca, leggermente aciudula che viene essiccata, triturata fino a ridurla in polvere e usata per aromatizzare molti piatti della cucina araba.

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