martedì 5 febbraio 2013

ATTENZIONE, CADUTA CANI A MILANO

"Cave Canem", attenti al cane, una delle poche espressioni latine che mi sia rimasta in mente dai tempi del liceo, dopo "Dura Lex, Sed Lex" e "Usque Tandem...". E nel mio caso mai frase fu più azzeccata. Del Cane delle Nevi sapete già, Cave Canem sulle piste, ma adesso faccio danni anche in città. Le trasferte non mi bastano più. Non paga delle crisi di panico, delle scivolate sbagliate e degli stinchi scorticati dagli scarponi, che di solito accompagnano le mie vacanze in alta quota, adesso ho inventato un nuovo sport. Si tratta del "Volo del Cane", un connubio di acrobatica abilità, sincronca incoscienza, diabolica imbranataggine. Diciamo che il gruppo di amiche che vengono definite "leGalline" conoscono questo mio coté ardito, ne disquisiscono nei momenti di tristezza per tirarsi su il morale. Sì, perché sono momenti di puro divertimento, di rinfrescante ilarità, insomma un delizioso tiramisù per anime abbattute. Tra gli episodi di disavventura urbana, presentati nel blog, c'è  "L'Insostenibile Trasparenza delle Vetrine a Copenhagen", disavventura dopo la quale"leGalline" hanno riso per circa due settimane filate, rischiando il singhiozzo. Ovviamente ne ho combinata una delle mie di recente, e qui ve la racconto.
Era un sabato di uggiola milanese, il cielo deliziosamente plumbeo, una leggera foschia a rendere l'atmosfera ovattata, il selciato lucido di umidità, sospeso tra il bagnato e l'asciutto, la luce un po' cupa completava un disegno che ricordava il primo Van Gogh, quello olandese, grigio e un po' triste. Una giornata qualsiasi, di un qualsiasi inverno milanese, molto Tanguera, nel senso di "Il Tango è Un Pensiero Triste che si Balla". Il nostro Cane aveva appena ripreso i panni del cane urbano, si era deliziata con vita sociale sfrenata e amenità varie. Insomma si era destreggiata tra pomeriggi di diletto, tra un bagno turco, una caramella al pompelmo, qualche bocconcino sbocconcellato con pazienza e voluttà, un po' di lavoro, giusto per non perdere l'abitudine e qualche seratina mondana. Quelle serate mondane trascorse a chiacchierare, bere, ballare, fare tardi, sì proprio quelle che poi ci si mette un po' a recuperare. Ecco, il nostro Cane era reduce da una di quelle settimane. Bene, erano le tre di un pomeriggio di uggiola milanese, il Cane era stanca e doveva ancora pranzare. Qui lo dice e qui lo nega, il Cane titolare di questo blog, fa una cosa che si dice ma non si dovrebbe fare, e per favore tutti facciano finta di non leggere le prossime parole, sono semplicemente un'occasione di disimpegno tra un racconto e l'altro. Inizia la frase da rimuovere - il Cane era entrata in una nota catena di prodotti congelati, per altro di ottima qualità, a sua discolpa, per comprare una pizza (in effetti eccellente) - finisce la frase da rimuovere. Inizia la frase che dovreste leggere su questo blog: il nostro Cane rientra a casa, prende la farina, fa la fontana, scioglie il lievito dentro un poco di acqua tiepida, aggiunge acqua alla farina e impasta fino ada ottenere un pasta leggera, morbida ed elastica, la avvolge in un canovaccio e la fa lievitare per un paio di ore; ovviamente, la frase è corretta, il procedimento giusto, ma il Cane in questo ultimo caso avrebbe cenato e bellamente saltato il pranzo. E aveva una fame da lupo, grigio. Insomma, era uscita dal negozio con la sue belle Margherita surgelate, tutte avvolte nel loro cellophane, tutte belle, fredde, rigide come un cadavere, dentro la loro busta della spesa. Le due belle pizzette tenevano compagnia ad una busta dei edamame (fagioli di soya, che difficilmente si trovano freschi in Italia). Forse chiacchieravano, intendo le pizze e l'edamame, ma il Cane non è sicura di questo, anche se col cibo ha un rapporto quasi fraterno. Ecco, in quell'istante è successo tutto. Il Cane era separata dall'auto da, nell'ordine,  l'amatissimo pavé milanese color ruggine, quello a grossi blocchi sempre un po' disconessi, le favolose rotaie del tram, lucide di pioggia, lustre e scintillanti, la pioggia che veniva giù a velo, leggera leggera, fina fina. Sorrideva, stanca ma fiera della sua conquista, due belle pizzelle pronte in un attimo. Bisogna specificare che il Cane quando piove ha un abbigliamento standard: impermeabile, rigorosamente beige, pantaloni infilati dentro a magnifici stivali di gomma, mica quelli sgraziati dei pescatori, quelli leggermente più eleganti, di forma un po' più slanciata e cappello antipioggia, niente ombrelli, troppo ingombro. Il Cane così bardata, guarda avanti a sé, con l'orecchio destro sente lo sferragliare del tram sempre più vicino, con quello sinistro le auto che sfrecciano, perché a Milano le auto sfrecciano veloci, anche nelle vie che non sono periferiche. Guarda a destra, poi a sinistra, come le è stato insegnato quando era un Cagnolino cucciolo, comincia cauta ad attraversare. Un ragazzo in bicicletta è in lontananza, pedala pedala ma non troppo veloce. Un passo davanti all'altro, nulla diverso dal solito, e poi ecco. Ecco, che il Cane comincia a beccheggiare, avanti e indietro, poi fa un semicerchio, piccolo, nemmeno troppo sgraziato, la punta dello stivale destro incastrata tra il pavé color ruggine e la rotaia scintillante, il Cane fa un movimento oscillante da destra a sinistra, incespica e poi torna a fare un passo normale. La situazione sembra recuperata, invece il piede sinistro finisce in fallo, non si sa bene come, il Cane ricomincia ad oscillare e si protende avanti, come a volere afferrare qualcosa che le hanno lanciato, è quasi orizzonatale col corpo, lo stivale destro si stacca da terra, anche quello sinistro. Il Cane vola, si libra nell'aria come se fosse un cartone animato, in uno svolazzo, quasi una firma, breve, ma intenso. Il braccio destro nel disperato tentativo di tenere l'equilibrio si stende verso non si sa cosa, il sacchetto parte, lanciato come un proiettile, le pizze escono in contemporanea, una va a destra, l'altra a sinistra. Il braccio sinistro resta attaccato al corpo per un breve momento, poi abbandona la posizione e si piazza a novanta gradi sul fianco. Mentre il Cane atterra sul pavé color ruggine, in un rumore di ossa, in un tonfo sordo e doloroso, le pizze scivolano sul medesimo pavè, un viaggio veloce, e vanno ad infilarsi sotto la macchina. Il Cane è a terra, senza fiato, una fitta alle costole, alla spalla, al ginocchio, al malleolo, non c'è un solo punto del lato sinistro del corpo a non aver assorbito la caduta. Il tram che stava arrivando comincia a frenare, il Cane non si muove, i freni stridono, stridono forte sulle rotaie, metallo contro metallo. Le auto sfrecciano indifferenti, imperterrite. Il ragazzo lancia la bici da un parte, in un balzo è sopra il Cane, la afferra per una spalla, dall'altra spalla il compagno del Cane, sceso con insolita velocità e abilità dall'auto. Sollevano il Cane insieme, come fosse un fuscello e non quel sacco di patate che è in realtà. Il Cane si lamenta, il dolore è forte, l'ego distrutto. In un rantolo dice "Le pizze. Le pizze", perché si sa il Cane salva sempre il cibo. L'impermeabile beige ridotto ad un ammasso bicolore, da un lato color pavé, fango, smog, dall'altro intonso, nel suo elegante colore che sta bene con tutto. Il Cane sale in auto insieme al sacchetto col cibo, si siede,  è ammaccata, dolorante e si lamenta. A terra resta sconsolata una pizza Margherita, sola, triste dimenticata. Pochi minuti e il Cane si accorge dell'abbandono della povera pizza, torna indietro. La povera pizza ha trovato casa quel pomeriggio. Non sia mai che ci sia una pizza randagia in centro a Milano.

P.S. Per coloro i quali non sapessero "Il Tango è Un Pensiero Triste che si Balla" è una citazione da Jorge Luìs Borges.

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