martedì 22 gennaio 2013

IL CANE DELLE NEVI

Il cane delle nevi all'opera

Ci tengo a precisarlo, sono un'ottima nuotatrice. Nuotare in piscina o al mare mi distende i nervi e mi libera il cervello, dopo esco tonificata e contenta. Insomma l'acqua è il mio elemento. Detto questo posso affermare in tutta tranquillità che l'elemento deve essere nelle tonalità del blu, con le onde e di temperatura superiore ai 22 gradi. Sull'acqua che prende le tonalità del bianco, immobile e ghiacciata ho un certa difficoltà ad adattarmi. Insomma, detto in parole semplici, non sono una grande sciatrice.
Mi diverto molto ad andare in montagna, mi piacciono i suoi paesaggi invernali ed estivi, ma quando devo cimentarmi sulle piste sono veramente reticente. Tendo a cannibalizzare gli sci, li uso come armi improprie per fendere la neve a casaccio anche nelle discese più facili.  In acqua sembro quasi un delfino rilassato che scivola senza quasi spostarla, sulla neve sono rigida, le gambe che paiono due tronchi pesanti e le spalle tese nello sforzo di mettercela tutta. Questo mio stile eccelso mi ha lasciato il mio nom de bataille: il cane delle nevi. Come se non bastasse soffro di vertigini e le piste aperte, quelle con il panorama mozzafiato, dalle quali si domina una vallata in tutto il suo splendore, ecco quelle, mi fanno venire le crisi di panico.
Non è la difficoltà della pista a bloccarmi, come molti pensano quando mi vedono li appollaiata in cima al muro, ferma in posizione sciistico fetale. E' il maledetto vuoto che mi cementa le gambe in una posizione accovacciata tra lo spazzaneve e il seduto. E' la vista della valle più sotto che mi fa sudare freddo e caldo in contemporanea, che mi taglia il respiro e mi impedisce di muovermi. Tengo le mani avanti coi bastoncini uniti, in un poco muto gesto di preghiera. Ferma, terrorizzata. Sono una dura e non mi capacito di non poter fare una cosa, quindi regolarmente provo ad affrontare i muri iniziali di piste con vista, di solito i più aperti, e allora mi trovo a combattere nella situazione fatale. Tutto accade quando ho già affrontato una parte della discesa, che percorro in diagonale per poi curvare ai lati, alla prima vera curva per scegliere la direzione vedo il vuoto e mi blocco. Lì sul posto, esattamente dove sono, normalmente in nel mezzo della pista, cogli altri sciatori che mi ronzano intorno, eleganti. Resto ferma lì, quasi piangente maledicendo me stessa e il mio compagno che, anima pia,  mi  lascia fare queste cose. Urlo cose terribili mentre scendo a scaletta, per dare l'idea: "tu mi vuoi morta" è una delle più gentili. Non è una bella immagine quella di una signora di nero-arancio vestita, immobile e urlante su una bellissima pista dolomitica. Se a qualcuno è capitato di vedere una scena simile all'inizio del Ciampinoi a Selva di Val Gardena o a Porta Vescovo ad Arabba, mi ha senz'altro incontrata. La prossima volta fermatevi e fatemi un salutino. Non preoccupatevi per gli insulti che ne ricaverete, non è niente di personale.

P.S. Per capire che è solo questione di vertigini e non di vera imbranataggine sciistica ho testimoni che possono tranquillamente affermare che, in caso di nebbia, sono scesa dallo stesso muro con la massima indifferenza.


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