martedì 4 dicembre 2012

MILANO MIA, PORTAMI VIA. PERO' FORSE NO.

Torre Branca, Gio Ponti. Tramonto d'Inverno.
Ogni anno la settimana di Sant'Ambrogio, il patrono della città, dedico una storia a Milano. Quest'anno non sarò da meno.


Nascere a Milano è una sfida al mondo. Tutti, ma proprio tutti, ti dicono che "si, beh, è la capitale morale del paese, ma, diciamolo, è proprio brutta e poi c'è la nebbia". Chi dice così non conosce veramente la città, in effetti ha smesso di essere la capitale morale del paese da un po' e di nebbia se ne vede pochissima già da un pezzo. Brutta non lo è affatto. Ho visto città più brutte al mondo, vogliamo parlare di Pechino (Beijing)? Possiamo citare San Paolo del Brasile? Che dire di Boise, capitale dello Stato dell'Idaho (e chi l'ha mai vista, dite? Ecco, appunto)? Ci sono dei momenti che Milano è strepitosa. Prendete un tramonto invernale, una di quelle rare (vero, purtroppo) giornate nelle quali il cielo è limpido, quasi trasparente, blu profondo, e passate da Parco Sempione; la Torre Branca, piccolo capolavoro di Giò Ponti, Tour Eiffel "de noartri", si staglia in quella luce perfetta, obliqua, rossastra, sopra gli alberi spogli. Un momento perfetto, sublime che fa stringere il cuore e dire "com'è bella la mia città". Un'altra occasione, in primavera, dietro al Duomo, in una giornata dall'aria frizzante e birichina, l'albero fiorito di bianco incastrato sul retro della Cattedrale maestosa,  in mezzo a marmi e graniti, riempie di poesia un angolo urbano. Può essere magica una passeggiata in città dopo una nevicata, vero è che dura giusto il tempo di realizzare che è una giornata di neve e che dopo ci sarà fanghiglia acquosa, inquinata e grigia a terra. Un solo istante, ma tutto quel bianco soffice vi riempie gli occhi e vale la passeggiata. Certo Milano non è Parigi o Roma, così sfacciatamente belle e romantiche, non è Venezia così dannatamente disponibile, no Milano è Milano. Dura, difficile, poca avvezza al complimento e al vezzeggio. Come una donna complicata, bisogna scoprirla, andarla a cercare, vedere oltre il grigio nebbia, oltre la severità e la riservatezza ereditate dagli austriaci, bisogna andare più in là dell'ovvio. Se non fosse che i veri milanesi fuggono dalla città non appena possono, forse sarebbe anche più bella. Ma cosa volete, è facile fuggire: intorno hai le montagne e quindi d'inverno ti viene voglia di sciare, guardi un poco più a sud e hai il mare, che d''estate, col caldo da bollitore che fa in città, è meglio andarci, e poi, vicinissimo il lago, a uno sputino, giusto il tempo di fumarti una sigaretta e ci sei. Essere milanesi è una sfida, di solito il milanese adottivo riesce a scoprire l'anima vera della città, è il nativo che ha qualche difficoltà. Senti spesso il vero milanese balterare di una casetta in Provenza, "col giardino, l'orto e un cane". In effetti, di solito, la casa ce l'ha il milanese doc, proprio in Provenza, ma si guarda bene dall'andarci a vivere, perché "mettere le mani nella terra dell'orto", ossignùr che schifo, e poi "dai che il cane  lo possiamo avere anche a Milano". Tra l'altro sarebbe difficile ammettere la sconfitta di essere fuggiti da Milano per mettere su casetta in Provenza, per poi scoprire che vivere in Provenza d'inverno è di una noia mortale, che non c'è nessuno con cui parlare in quei villaggi battuti dal Mistral "cazzarola, parlano tutti francese, meglio portare il cane al parco, va". Ecco, al massimo i milanesi passeggiano il cane al parco, è molto più comodo, economico e ti lascia la libertà di criticare la città, di evitare di ammettere che tu in mezzo ai prati e i campi ti ci senti a disagio. Tutte quelle balle del caminetto acceso, di andare per i boschi a fare legna per la stufa dove cuoci i fagioli al coccio, le passeggiate bucoliche in mezzo alla campagna, sono solo un parlare fitto fittto per fare un po' di conversazione. In realtà il milanese si crogiola nel suo bello smog, della sua grigia città, anzi si compra una bella macchina inquinante, un bel SUV, che rende l'aria ancora più irrespirabile, adora fare le code per rientrare la domenica e ancor più dire come le ha evitate. E' di gran lunga meglio avere a portata di mano il Poldi Pezzoli per non andarci, lamentarsi del traffico durante la settimana della moda, per poi non perdersi nemmeno una sfilata, ovviamente usando la macchina per raggiungerla, che respirare l'aria gonfia di Mistral, piena di fumo di legna del camino, isolati e lontani chilometri dal primo teatro che "come La Scala non ce n'è". Il milanese gioca spesso a fare l'appassionato ecologista, fa il convinto quando dice che bisogna fare qualcosa per migliorare l'inquinamento in città, salvo poi, non appena gli mettono l'Area C (centro a pagamento per tutti gli automobilisti di ogni ordine e grado), urlare all'abuso e strillare "è colpa del riscaldamento (inteso come casalingo e non quello globale)" e "sono tutti in combutta per mandare in malora i negozi del centro". Non pensando che, forse è la crisi che attanaglia il mondo a far diminutire gli acquisti, che i negozi sono vuoti perché "ghe minga pù dané" (traduzione del milanese maccheronico: non ci sono più soldi), perché in realtà sarebbe sufficiente prendere i mezzi di trasporto per raggiungere il centro e continuare a fare shopping sfrenato. Già, i mezzi di trasporto, tasto dolente. Non esiste milanese che si rispetti che pensi di prendere i mezzi pubblici per muoversi in città, soprattutto per raggiungere il centro. Un milanese che si rispetti non mette piede sui mezzi di trasporto del comune, neanche si prendesse il tifo salendoci. Al massimo, qualche signora volenterosa gira in bicicletta, entusiasta di mantenersi in forma, di non avere i problema dell'area C e quello del parcheggio. Solo quelli nati fuori dalla città, di ogni ceto sociale, si azzardano a salire sui tram, le metropolitane o gli autobus, anzi ci provano gusto, ma un milanese no, non ci pensa nemmeno. Piuttosto va a vivere in Provenza.

P.S. La prima parte del titolo è un verso della canzone "Luci a San Siro" di Roberto Vecchioni 

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