martedì 6 novembre 2012

UNA CUOCA SPECIALE


crepuscolo dalla stanza della bisnonna
Era un donnina piccola, piccola e asciutta come un’acciuga di ferragosto. Vestiva di nero e in tutte le tonalità di grigio dal 1928 anno in cui era morto suo marito, il benemerito e amatissimo bis-nonno. Arrivava da Marsiglia e aveva in sé un che di piratesco, anche se lei non se ne accorgeva. Era cresciuta nelle strade strette e acciottolate della città portuale e aveva conservato la passione per il mare. Aveva trascorso parte della gioventù nella bottega di argentiere del padre, poi si era sposata con un uomo del paese di origine. Non era stato un matrimonio d’amore, era stato più che altro un contratto d’affari. Lui non se la passava male, lei nemmeno. Un'unione di patrimoni e, poi, avevano imparato ad amarsi, insomma una storia d’altri tempi. Un'epoca in cui una figlia non protestava se il padre arrivava a casa con un uomo e le diceva che quello sarebbe diventato tuo marito. Ricordo la sua faccia piena di rughe e le sue mani lisce che mi passavano i biscotti duri, quelli fatti con l’olio di oliva. Buonissimi.
Era una vera maga in cucina, riusciva a creare manicaretti sublimi in tempi brevissimi. Passava la sua vita tra i fornelli e le pentole, quella era la cosa che più amava fare, anche se avrebbe potuto stare seduta in salotto tutto il giorno. Quel donnino minuscolo aveva partorito cinque figli, tra cui quattro femmine che non condividevano la sua passione per la cucina. Nessuna di loro sapeva cuocere qualcosa, nemmeno un uovo. Ma lei sì, e si divertiva un mondo. Sfornava torte salate, seppie ripiene, dolci elaborati, primi piatti semplici, ma la sua specialità erano i pesci e le carni. Una cuoca fatta e finita, riusciva ad organizzare un banchetto per venti in meno di un pomeriggio. Nessuno in famiglia l'ha mai vista fuori dalla sua cucina, dove c’era un bellissimo tavolo rettangolare, di marmo, sul quale lei preparava la pasta fatta in casa. Tirava la sfoglia e poi faceva le tagliatelle che condiva con un ragù di coniglio oppure la riempiva di borragine e erbette profumate, e condiva i ravioli solo con un filo di olio. Finito di cucinare si accendeva una sigaretta.
La bis-nonna fumava come un marinaio in libera uscita, il suo unico vizio, per una signora dell’ottocento un vero azzardo. Da giovane aveva destato non poco scalpore. Si accendeva le sigarette in pubblico nei primi anni del novecento, quando una signora in società poteva al limite dire che non amava il profumo di rosa e che preferiva quello al gelsomino. Una tale affermazione era già una trasgressione, figuriamoci fumare. Il bis-nonno approvava e lasciava fare, anzi ho come il sospetto che se la godesse un mondo a vedere sua moglie accendere sigarette davanti ai notabili del paese. Lei, però, bisogna ammetterlo, si accendeva le sigarette con la grazia e l’indifferenza di una principessa. Fumava e sorrideva. Sorrideva molto Luigina, la fumatrice. Fumava, sorrideva e cucinava. Un’ottimista che riusciva sempre a vedere il lato positivo di tutto, persino nei momenti più neri delle guerre e dei lutti familiari.
Quelli che l'anno conosciuta la ricordano per la sua faccia minuta e piena di rughe, i suoi capelli candidi e il suo modo di ridacchiare un po’ tossicchiante.
È morta a novantacinque anni, fumando Gitanes Papier Mais, nella sua cucina mentre preparava un arrosto all’olio, un piatto che aveva imparato a fare dalla tata bresciana, quella che l'aveva aiutata in casa quando i figli erano piccoli. Quella sera a cena l’arrosto era duro e lei lasciava un grande vuoto.
L'ho conosciuta per poco, giusto il tempo di sviluppare una passione sfrenata per i biscotti all’olio e per raccogliere la sua eredità morale: il gusto della trasgressione e quello per la cucina.


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