martedì 19 giugno 2012

CIBO PER MENTI APERTE - NOMA

Era il primo giorno di primavera, Il cielo era azzurro cartolina e il tramonto trasfuso di quella luce trasparente, leggermente obliqua del solstizio di primavera nei paesi nordici. Le ombre lunghe si stagliavano sulla banchina di quello che un tempo era uno scalo merci cittadino, intorno a noi vecchi magazzini. Tutti e quattro, ansiosi, guardavamo l'orologio e il tramonto, alternandoli, mancavano dieci minuti all'appuntamento, forse sarebbe stato meglio godere delle bellezze della città sull'altro molo. Mentre ci avvicinavamo ci accompagnava questa luce radente, perfetta, poi la porta si è aperta e la nostra vita gastronomica è cambiata.
Un posto magico, fatto di legni profumati, intrecciati, lucidati, illuminati. Una spoglia essenzialità che le luci delle candele avvolge ed esalta. Niente tovaglie sui tavoli, solo il nudo legno lucido e magnifico, al centro un vasetto con flora nordica: bacche, sempreverdi, ramoscelli. Intorno silenziosi ragazzi dai movimenti lenti, eleganti, essenziali, passano, sorridono, appoggiano qualcosa su un tavolo, sistemano una candela, pronti a servirci. Aperitivo? No, grazie. Acqua. Il ragazzo che parla italiano con l'accento francese spiega mentre versa nei bicchieri quella che a noi pare acqua, semplice acqua naturale, è invece acqua di betulla, fino a qualche giorno fa non l'avreste trovata, c'è voluto il disgelo. E' leggera sulla lingua, soave, nessun residuo fisso la altera, nessuna bollicina, è come velluto in bocca. Acqua, solo acqua e già capiamo che le nostre papille stanno provando qualcosa di diverso. Se volete cominciare con il primo antipasto, servitevi pure. I nostri sguardi interdetti sembrano divertire colui che sarà il nostro angelo custode per tutta la sera. Sorride ed indica i rametti scuri dentro al vaso sulla tavola: si tratta di una focaccetta croccante fatta con malto e nocciole. Ecco, tutto lì, semplice e sublime. A questo punto inizia un turbinio di sapori, serviti uno dietro l'altro, col ritmo di una danza moderna. Si susseguono i ragazzi che hanno creato il piatto per raccontarlo. Allora, si presenta sulla tavola un piattino rivestito di muschio verdissimo, umido e perfetto, non è commestibile ma quello che sta sopra sì; è un gomitolo che ha un colore tra il verde e il giallo, lo poggi sulla lingua e si scioglie. Lichene fritto. Ecco, tutto lì, ma nessuno ci aveva mai pensato. Neanche il tempo di sospirare ed ecco che arriva un altro piattino tutto colorato, dei semicerchi arancioni fanno da base a qualcosa di rosso profondo, lucidissimo: pelle di maiale croccante con gelatina di ribes. Ecco, tutto lì semplice, tradizionale. Una scatola di metallo, di quelle della nonna si poggia sul tavolo e come per incanto si apre, dentro quattro biscottini ripieni con formaggio ed erba cipollina. Semplice, ancora una volta. Arriva una sorpresa, frutti di mare, una piatto pieno di cozze, una sopra l'altra, sono ghiacciate, e molto finte, in cima altre cozze, si toglie una valva, molto vera e sotto c'è un'altra valva, finta, fatta di pasta, ripiena con una cozza con la crema. Vero e finto, reale e virtuale si intrecciano nello stesso piatto. Sublime inganno. A questo punto arriva in tavola un uovo grande grande, sembra di struzzo. L'uovo si apre, esce un magico fumo druidico, adagiate sulla paglia di fieno le uova di quaglia si stagliano dietro al fumo, e finiscono intere in bocca, il dente affonda nella parte cotta che si rompe e lascia sgorgare un liquido sublime, che sa di fumo, di uovo, di burro, di tutto e di niente. Ecco, tutto lì, semplice, un uovo in camicia che non è in camicia, realtà e finzione, un sublime inganno. Vero e falso, un vaso di coccio con delle piantine dentro si materializza nella luce dorata della sala: ravanelli croccanti con tutte le loro foglie stanno piantati nella terra, scura marrone, densa e fertile, in realtà briciole di pane nero tostato su crema al dragoncello. Un altro sublime inganno da divorare estasiati. Poi una frittella rotonda, perfetta, ripiena di confettura di cetriolo in conserva e trafitta da un unico pesciolino fritto che sembra voglia saltare fuori dal piatto. E poi la versione minuscola, quadrata del piatto nazionale, quel tramezzino aperto della cucina quotidiana. Una sorta di mini club sandwich con pelle di pollo, pane nero, formaggio affumicato da mangiare in unico boccone. E ancora: capelli d'angelo che avvolgono una crema di fegatini di pollo.E infine: un'ostrica dentro la sua conchiglia, appena scottata perché cambi la consistenza, ma non troppo cotta da alterarne dil sapore di mare, tagliata a fettine sottili, ghiacciate, sa di acqua salata, di erba cipollina, di mare mosso. Segue un luccio in emulsione di verbena, se non fosse per il vino abbinato sarebbe un piatto dimenticabile, mi ricorda nella consistenza e nel profumo la saponetta che ho sul lavandino a casa. Perfettibile decisamente perfettibile, a volte si sa, superare sé stessi in fantasia non è cosa facile. Ma poi, ma poi, ecco arrivare un'opera d'arte, una quadro di Klimt, Kandisky e Kokochka dentro al piatto: piccoli e grandi cerchi colorati di rosso, bianco, giallo fatti di barbabietola, rossa e gialla, rapa e cetriolo in conserva che si snodano e intrecciano sul piatto a decorare il midollo di bue arrostito. L'ennesimo piccolo, divertente inganno. Alla fine arriva il Sottobosco: un grande piatto bianco con germano reale alla griglia, servito con foglie di betulla, fiori, muschi, licheni, tutti insieme sul piatto a formare un quadro Impressionista, un Cézanne o un Monet, tanto bello che spiace mangiarlo. Ecco, tutto lì semplice, divino inganno. Sublime.
(2 - fine)


P.S. La cena è durata quattro ore, la successione dei piatti non è esatta, come non sono presenti molti dei piatti che abbiamo degustato, mancano i dessert, per esempio. Alla fine abbiamo visitato le cucine, dove il più vecchio deve essere lo chef-proprietario René Redzepi, appena trentaciquenne, dove ogni piatto è montato da una squadra diversa ogni volta, quindi tutti sanno fare tutto; dove per essiccare, stendere e preparare  le foglie necessarie per creare il sottobosco c'è una persona che lavora ore e ore, dove si cambia la composizione dei piatti e gli ingredienti secondo il ritmi della natura, e si cercano nuovi sapori ogni giorno in una continua sfida. Un ristorante dove vale la pena fare l'abbinamento dei vini ai piatti, perché non esiste un vino che si accompagni bene con ognuno dei sapori presentati, a meno di  perdere una parte di gusto. Un ristorante dove il post dessert è un gioco divertente e delizioso, dove i camerieri sorridono e parlano la tua lingua, perché sono in tanti e da tutto il mondo a voler lavorare per il Numero Uno. Un posto dove l'atmosfera è magica e perfetta. Un ristorante che un appassionato di cibo dovrebbe visitare almeno una volta nella vita, a volte fare una follia (perché il conto è un po' folle) vale la pena. E... ricordate che l'acqua di betulla è diuretica. 



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