venerdì 7 ottobre 2011

INCONTRO RAVVICINATO A BALI

Scorrazzavamo per l'isola a cavallo di una moto un po' tossicchiante, ma che funzionava. Su e giù tra risaie, spiagge, montagne, templi, acque termali calde e rilassanti. Ci piaceva andare tra gli artisti che dipingevano e scolpivano in laboratori aperti su un cortile ampio ed arioso, sospeso tra la foresta e il mare. Il tempo non era dei migliori, la stagione delle piogge doveva ancora finire e ogni tanto un acquazzone ci coglieva impreparati. Molte volte ci siamo trovati fradici, a correre con la moto verso un riparo qualsiasi. Riparati sotto qualche tettoia stavano ad annusare l'aria bagnata e a vedere i campi che cambiavano colore, filtrati dal velo d'acqua che scendeva costante e guardavamo affascinati gli sbuffi di umidità che venivano su dalla foresta. Non avevamo freddo, perché le piogge tropicali sono violente, ma tiepide e l'aria non si raffredda come accade con i nostri temporali estivi. Risaie a perdita d'occhio, strutturate su colline che digradavano a valle e con un sistema di irrigazione a chiuse che presupponeva la fiducia dei coltivatori nel proprietario del terreno più alto. Il verde declinato in ogni sua sfumatura faceva da sfondo ad una tela piena di colori, dai batik ai quadri, dalle processioni religiose con le offerte di fiori e frutta montate in elaborate composizioni ai panni stesi ad asciugare lungo la strada. Un posto piccolo, splendente e luccicante. Un posto magico, dove era facile, nonostante tutto, trovare angoli di solitudine. In un'isola come quella non è facile trovare la solitudine, specialmente nelle mete più affollate dei luoghi nevralgici, come la via principale di Kuta dove si accavallavano ristoranti, locali di musica rock, pop, jazz e ogni altra nota possibile, venditori di cianfrusaglie, negozi eleganti, negozi turistici, un vero mondo nel mondo, una babele di lingue ed oggetti, un rumore assordante, che contrastava con il silenzio mistico dei templi e delle risaie. Eravamo soggiogati e non riuscivamo a staccare gli occhi dalle bellezze anche più scontate.
Un giorno, in una delle nostre allegre scorribande per i campi, decidiamo di andare a visitare un tempio. Uno dei tanti, sono presenti in numero quasi incalcolabile e hanno dimensioni variabili, enormi, grandi, medi, piccoli, piccolissimi, minuscoli, infinitesimali, micronizzati, in effetti ad un certo punto, dopo l'ennesima visita,  all'urlo "Basta Pura!!!" abbiamo deciso di non visitarne più. Pura sarebbe il nome balinese per tempio e comunque quello che volevamo visitare in quel momento non era ancora arrivato alla fatidica indigestione. Insomma, andiamo a visitare il tempio. Ci copriamo, perché le regole vogliono che non si espongano le gambe e che gli uomini non portino i pantaloni. Via, allora, di pareo intorno alla vita. Entriamo, camminiamo tra le mura che sono su una roccia a picco sul mare. Arriviamo nell'ultima camera, l'oceano si staglia netto nella prospettiva e tutt'intorno scimmie. Scimmie che saltano, che giocano, che si spulciano che allattano, che ci guardano. Il tempio di Humayan, il dio scimmia buddista. Facciamo un giro. C'è un venditore di frutta, porta su una sorta di vassoio sacchettini di plastica pieni di pezzetti di frutto tagliati piccoli. Chi mai vorrà mangiare frutta in quel posto. Il venditore è solo, sorride come la maggior parte dei balinesi quando ti icontrano. Noi andiamo sull'oceano guardiamo le onde che si infrangono sulla scogliera più sotto, la scogliera è ripida e irta di spuntoni di roccia. Cadere da lì sarebbe un volo pericoloso e poco auspicabile. Scattiamo foto, della scogliera, del tempio, dell'oceano insolitamente blu. La sacca con le nostre cose appoggiata ad una sorta di capitello, ritratto di signora con sfondo di tempio e scimmie. La sacca è aperta, dentro ci sono gli obiettivi. Basta un secondo, una delle scimmie decide che le piace la nostra borsa nera, corre, afferra la prima cosa che vede. La patente internazionale finisce tra i suoi denti. Lei ci guarda come se volesse prenderci per i fondelli, sorride. Io ho la patente, sembra dire, e tu non l'hai più. Cominicia ad annusarla, l'assaggia, la lecca. E' sul bordo di uno dei muri che danno sull'oceano, proprio sopra la parte più irta di scogliera. Se decide che la patente le fa schifo e la tira giù, addio per sempre. Che cosa facciamo, ci chiediamo interdetti. Il panico scorre copioso tra le file. La scimmia continua a smanacciare la patente, la guarda sospettosa, ne saggia la consistenza con la zampa inferiore. Arriva il venditore di frutta. Ci vede nel panico. Alza una mano, come dire, aspetta che ti faccio vedere, sorride e sembra dire  "Ci penso io". Ci guarda e poi lancia uno dei sacchettini di frutta verso la scimmia, lei molla la patente per afferrarlo e la lascia cadere proprio dal lato interno del tempio. Pfff, fanno le nostre bocche. Poi la scimmia apre golosa il sacchettino e comincia a sgranocchiare i pezzettini di frutta. Deliziata,  sorride. Si, Si sorride e poi si concentra di nuova a guardare il pezzetto di frutta che ha in mano, lo annusa guarda in basso. Oh, santo cielo,  noi corriamo a prendere la patente. Il venditore ci chiede i soldi per il sacchettino. Giusto, ci ha salvato, ma si tratta di una cifra senza vergogna, non negoziabile, è chiaro. In effetti è colpa nostra. Consegnamo i soldi, comunque felici di aver recuperato il prezioso documento.  Il venditore sorride, quasi come la scimmia quando aveva la patente in mano.
A tutt'oggi, e sono passati molti anni, ho il sospetto che la scimmia fosse d'accordo col venditore.

P.S. Nella foto sopra la famosa scimmia che degusta la frutta dopo il misfatto.

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