lunedì 2 maggio 2011

IL PRANZO DELLA DOMENICA

La mia famiglia non è tanto diversa da tutte le famiglie del mondo. Abbiamo i nostri riti, le nostre tradizioni, i nostri ricordi, le nostre gaffes che ci fanno ridere o piangere, in esclusiva, gli altri non capirebbero.  Sono cose uniche e solo nostre, ma con tutte le famiglie del mondo condividiamo il pranzo della domenica. Non vi è casa tradizionale, di quelle cresciute negli anni sessanta e settanta, nella quale non ci sia stato l'amato-odiato "ilpranzodelladomenica",  tutto attaccato detto in un fiato. Un momento conviviale della famiglia con tutti gli annessi e connessi del caso: gelosie, liti, riappacificazioni, nuove liti e abbracci conseguenti, pianti, aneddotti. Ricordo molto bene i nostri pranzi, prima con tutti e due i nonni e poi, più avanti, solo con il nonno. Quelli con il nonno li ho più vividi nella mente, forse perché ero più grande.
Quando ero al liceo detestavo la domenica, un giorno di ozio e noia trascorso con i genitori. Durante la settimana avevo i miei appuntamenti, le mie amicizie, lo studio, ferveva l'attività, insomma. A causa del pranzo della domenica dovevo stare a casa. Allora dormivo fino a tardissimo, aprivo gli occhi non prima delle undici. Mio nonno prendeva la sua cinquecento e arrivava a casa verso le dieci e mezza. Prima era passato in pasticceria a comprare un cabaret di paste, sempre le stesse, scelte secondo i gusti della famiglia: bigné al cioccolato per me, cannoncini per lui, paste alla panna per mio padre e crostatine di frutta per mia madre. Tre a testa, di cui una poteva essere scambiato per un altro gusto. Mio nonno, un uomo molto serio e poco dedito alle spiritosaggini si divertiva un mondo a scambiare i cannoncini con altre paste. Ogni settimana un sapore e, via, ricominciando quando aveva finito il suo giro. Gli piaceva andare a comprare le paste, portarle e consegnarle solennemente a mia madre. Dopo avere consegnato il pacchetto avvolto nella carta azzurro e oro della pasticceria, veniva a bussare alla mia porta. Aveva voglia di vedermi da subito così gli avrei raccontato come andava la scuola, come procedeva la mia vita e tutte quelle cose che i nonni adorano sentire dai nipoti. Bussava e apriva la porta al mio mugugnare frasi sconnesse "Allora non t'alzi?" chiedeva. Nontalzi, sembrava dire, univa la "t "e la "a" come se fossero saldate insieme alla nascita. Io non reagivo e stavo sotto le coperte. Dopo cinque minuti tornava e chiedeva "Allora non t'alzi?" e così iniziava una litania che andava avanti finché io, rassegnata, mettevo il piede per terra e mi degnavo di dargli il buongiorno. Dopo chiacchieravamo a lungo, quando diventai più grande prendevamo l'aperitivo insieme, allora, lui aveva cominciato a comprare un cabaret di salatini insieme a quello delle paste. Mezzo bicchiere di vino bianco e salatini alla pizza, ancora adesso un abbinamento che adoro. Poi, quando ero al terzo anno di università i pranzi della domenica sono finiti e io ho cominciato a mangiare i cannoncini alla crema, ma mai di domenica.

SALATINI ALLA PIZZA 

300 grammi di pasta sfoglia - 500 gr di pomodori maturi - 1 mozzarella - origano secco

Sbollentare i pomodori in acqua per un minuto e pelarli. Tagliarli a dadini e farli andare in padella con un cucchiaio d'olio giusto il tempo che la salsa si restringa leggermente. Salare poco prima di spegnere il fuoco. Tagliare a dadini regolari la mozzarella. Stendere la pasta sfoglia e, con un tagliapasta, tagliare dei rotondi di 5 cm di diametro. Premere leggermente al centro e mettere un po' di salsa, un dadino di mozzarella e un pizzico d'origano. Continuare fino all'esaurimento della pasta. Disporre le pizzette sulla placca del forno. Infornare a 200 gradi finché non sono dorati.

P.S. Se siete cuochi appassionati, o semplicemnte eroici, fate voi la pasta sfoglia. Un lavoro un po' lungo, ma di grande soddisfazione. Altrimenti... compratela fatta. 

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